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venerdì 27 agosto 2010

2009: diminuiscono le auto nelle grandi città

Solo due i comuni nei quali il numero delle autovetture circolanti, rispetto al 2008, risulta in leggera crescita: Firenze e Napoli. Nonostante questo dato, aumentano le auto in circolazione a livello nazionale
 
Secondo i dati dell’Annuario statistico ACI, nel 2009 si nota una diminuzione del parco autovetture nei grandi centri urbani: se nel 1985, infatti, il numero delle autovetture circolanti negli otto comuni più grandi rappresentava il 18% del totale, nel 2009 tale percentuale è scesa al 13,5%. Solo due i comuni nei quali il circolante, rispetto al 2008, risulta in leggera crescita: Firenze e Napoli. Nonostante questo dato, rende noto l'ACI, a livello nazionale aumentano le auto in circolazione. Nel 2009 la crescita rispetto all'anno precedente è stata di oltre 265mila unità. Le quattro ruote raggiungono, così, quota 36.371.790 unità. La media nazionale del rapporto autovetture/popolazione è di 602 vetture ogni mille abitanti. Tra le regioni, il valore più alto si registra nel Lazio (670); il più basso, in Liguria (518). Tra i comuni, al primo posto si trova Roma (693); in coda, Genova (467).

Per quanto riguarda lo svecchiamento del parco auto, secondo l'ACI, hanno funzionato gli ecoincentivi. Nel 2009 su circa 1.9 milioni di autovetture radiate, poco più di 1 milione (il 52%) erano “Euro 0” ed “Euro 1”, sia a benzina che a gasolio. Ciononostante, nel nostro Paese circolano ancora 7,3 milioni di auto (il 20% del totale) “euro 0” o “euro 1”. L’età media delle auto è di circa 7 anni e 11 mesi: 9 anni e 11 mesi, per quelle a benzina; 4 anni e 4 mesi per le diesel. Il 37% delle auto in circolazione ha più di 10 anni di vita, con una quota di non catalizzate - le “euro 0” - pari al 13% del totale.

In allegato la tabella con le cifre riguardanti la consistenza del parco autovetture negli otto comuni presi in esami dall'annuario statistico dell'ACI.

Annuario Statistico 2010 - dal sito ACI
Consistenza parco autovetture in otto grandi comuni [0,02 MB]

L’inquinamento da azoto sta incrementando in tutto il mondo

Siamo già oltre il confine indicato dagli scienziati
Necessario ridurre la produzione di fertilizzanti artificiali e il consumo della carne

di Gianfranco Bologna *

Gli studiosi che si occupano delle scienza del sistema Terra, sono sempre più preoccupati per il pesante intervento esercitato dalla nostra specie, sull'importante ciclo biogeochimico dell'azoto.  Come più volte abbiamo ricordato nelle pagine di questa rubrica, la comunità scientifica internazionale ha iniziato ad indagare la possibilità di indicare quei limiti planetari su diverse problematiche delle relazioni tra specie umana e sistemi naturali, oltre i quali non dovremmo avventurarci.

Nel settembre del 2009 è stato pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica "Nature" un documento di grandissimo valore non solo scientifico (Rockstrom J. et al, 2009, A Safe Operating Space for Humanity, Nature, vol,461; September 2009; 472-475) , frutto della collaborazione di 29 tra i maggiori scienziati delle scienze del sistema Terra e della scienza della sostenibilità, tra i quali il premio Nobel Paul Crutzen.  Il lavoro sottolinea l'ennesima significativa e documentata preoccupazione della comunità scientifica rispetto al nostro crescente e pervasivo impatto sui sistemi naturali che sostengono la vita sul nostro straordinario pianeta e si avventura ad indicare i "confini planetari" (Planetary Boundaries) che l'intervento umano non dovrebbe sorpassare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i nostri sistemi sociali ed economici.
Gli studiosi ci ricordano che la specie umana ha potuto godere negli ultimi 10.000 anni (nel periodo geologico definito Olocene dell'era Quaternaria) di una situazione, pur nelle ovvie dinamiche evolutive che interessano tutti i sistemi naturali, che ha offerto una discreta stabilità delle condizioni che ci hanno consentito di incrementare il numero di esseri umani ed anche le nostre capacità di utilizzo e trasformazione delle risorse del pianeta.
Oggi invece, secondo la comunità scientifica (come abbiamo più volte ricordato in questa rubrica) ci troviamo in un nuovo periodo geologico, definito proprio dal premio Nobel Paul Crutzen, Antropocene, così chiamato a dimostrazione di come la pressione umana sui sistemi naturali del pianeta sia diventata talmente pesante da essere paragonabile alle grandi forze geologiche che hanno modificato la Terra durante l'arco di tutta la sua vita.

Nel lavoro si individuano nove problematiche che costituiscono altrettanti confini planetari e sono: il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell'azoto e del fosforo, l'utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell'utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l'inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.
Per tre di questi e cioè cambiamento climatico, perdita di biodiversità e ciclo dell'azoto, come dicevo, siamo già oltre il confine indicato dagli scienziati. E gli studiosi indicano per ognuno di questi tre grandi ambiti il confine proposto.
Per il ciclo dell'azoto si calcola l'ammontare di azoto rimosso dall'atmosfera per utilizzo umano (in milioni di tonnellate l'anno). A livello preindustriale si ritiene che tale ammontare fosse zero, oggi è calcolato in 121 milioni di tonnellate l'anno, (anche se altri dati forniscono cifre di circa 200 miliardi di tonnellate annue) mentre il confine accettabile, come obiettivo, viene indicato in 35 milioni di tonnellate annue. 
L'azoto è un elemento chimico che si riscontra in natura come un gas biatomico nell'aria di cui costituisce in media il 78,09% in volume, quindi la componente più significativa della nostra atmosfera (che ricordiamo essere composta, per il resto, dal 20,95% di ossigeno, dall'argo con lo 0,95% e da altri gas in componenti minori, come il biossido di carbonio la cui presenza viene indicata in parti per milione di volume, oggi ha superato le 388, nonché dal vapore d'acqua, fino al 4% - con una concentrazione che dipende dalla quota e da altre condizioni -). L'azoto è un elemento chimico molto importante anche per la vita; è infatti presente nelle proteine, negli acidi nucleici e sotto forma di numerosi altri composti organici in tutti gli organismi viventi, mentre si trova sotto forma di sali inorganici (come nitrati, nitriti e sali di ammonio) nel suolo. Il principale minerale che lo contiene è il nitrato di sodio.
L'azoto è fondamentale per gli esseri viventi e, come abbiamo visto, la maggior parte di questo elemento si trova nell'atmosfera ed i processi con i quali gli esseri viventi lo utilizzano e lo riciclano costituiscono il ciclo dell'azoto. Sono solo pochi gli organismi capaci di utilizzare direttamente l'azoto molecolare e cioè i cosiddetti organismi azoto fissatori, come alcuni batteri aerobici ed anaerobici e alcune alghe azzurre, mentre piccole quantità di azoto ossidato, formatosi a causa di scariche elettriche nell'atmosfera, giungono al terreno per mezzo della pioggia, mentre la maggiore quantità di azoto presente nel terreno deriva dalla decomposizione di esseri viventi e dai prodotti di escrezione. Quindi per rendere disponibile l'azoto nel sistema naturale un gruppo di batteri azoto fissatori sono in grado di scindere il triplo legame esistente tra i due atomi della molecola biatomica di azoto presente nell'aria nel processo noto appunto, come fissazione dell'azoto. Questi batteri specializzati vivono in diversi ecosistemi, sia di acque dolci che salmastre e vivono anche in relazioni simbiotiche con le radici delle leguminose (che sono tra l'altro, tra le più importanti colture utilizzate dai nostri sistemi agricoli).
Nel delicato ciclo dell'azoto l'intervento umano è stato fortemente significativo. Grazie al metodo industriale di trasformazione dell'azoto gassoso in ammoniaca, definito metodo Haber-Bosch, dal nome dei due studiosi tedeschi, Fritz Haber dell'Università di Karlsruhe nel 1909 e, circa venti anni dopo, Carl Bosch che si dedicò in particolare a sviluppare il metodo industriale, abbiamo profondamente modificato il ciclo dell'azoto con conseguenze, anche nei confronti delle nostre stesse società, che vengono considerate con grande preoccupazione da parte di tutti gli studiosi.
Infatti nei decenni successivi all'avvio del metodo Haber-Bosch, un numero crescente di industrie ha iniziato a trasformare quantità ingenti di ammoniaca in fertilizzanti. I fertilizzanti sintetici hanno consentito di coltivare terreni infertili e di ottenere raccolti significativi dallo stesso suolo, senza aspettare i processi di normale rigenerazione dei nutrienti naturali del suolo. Attualmente l'umanità sta producendo azoto reattivo e lo sta disperdendo nell'ambiente ad un ritmo sempre più elevato, scatenando problematiche e feedback ecologici molto negativi, perché si può combinare con un'ampia gamma di composti e può diffondersi in modo capillare.  Nelle acque dei laghi, dei fiumi e poi dei mari, l'azoto reattivo può innescare spropositate crescite di piante ed alghe microscopiche che, una volta giunte alla fase di decomposizione, consumano un enorme quantità di ossigeno creando, a lungo andare, delle vere e proprie "zone morte" che ormai gli studiosi hanno in numerose aree costiere del mondo. Inoltre il continuo eccesso di produzione antropica di azoto contribuisce al fenomeno del riscaldamento globale. Dal 1960 la produzione di azoto sintetico è incrementata dell'80% e oggi le attività umane producono circa 200 miliardi di tonnellate di azoto reattivo ogni anno, un valore che vale circa il doppio dell'azoto dovuto a tutti gli altri processi naturali.

E' evidente che non si può andare avanti così; abbiamo sorpassato il nostro confine planetario nella modificazione del ciclo dell'azoto. La comunità scientifica ha da tempo avviato un'International Nitrogen Initiative (vedasi il sito www.initrogen.org)  dedicata all'analisi ed al monitoraggio degli effetti dell'azoto sulla salute umana e l'ambiente.
L'inquinamento da azoto sta incrementando in tutto il mondo ad una velocità che impone urgenti interventi regolatori quali, ad esempio, la riduzione della produzione di fertilizzanti artificiali o la loro applicazione con tecniche di precisione e la riduzione del consumo della carne che sta invece incrementando a livello mondiale. 

* Direttore scientifico di WWF Italia 

domenica 15 agosto 2010

L’illusione nucleare



di Massimo Marino

Distribuendo volantini contro il ritorno del nucleare al concerto degli U2 mi sono imbattuto in un giovane ingegnere nucleare neolaureato, come me in frenetica attesa di Bono, con cui ho intrattenuto una lunga e tranquilla discussione al termine della quale, finite le mie pacate contestazioni alla sua convinta idea che il nucleare è conveniente e perfino ecologico perché non dà gas serra, mi ha dichiarato che in fin dei conti sposiamo la stessa causa, la tutela dell’ambiente, sebbene percorrendo strade apparentemente diverse. Al di là della necessità di giustificare, prima di tutto a se stesso, 5-6 anni del proprio impegno universitario per una qualche prospettiva di lavoro, il colloquio mi ha convinto a riprendere parola dopo almeno 20 anni su un tema che, sembra, possa tornare di attualità.

Di giovani laureati in quest’area tecnologica l’Italia non ha mai smesso di produrne (qualche decina all’anno in 4 università o politecnici ) neppure nel corso dei due governi di centro-sinistra , con qualche sbocco lavorativo all’estero, nell’est europeo, dove l’Enel si è data da fare malgrado il referendum ed in poche, marginali attività ad esempio nel settore sanitario che fa uso di radioisotopi.
E’ un fatto che i giovani italiani nati dall’ inizio degli anni 70’, più o meno tutti quelli oggi sotto i 40 anni, di nucleare hanno avuto possibilità di discutere con qualche serietà poco o nulla, appena sfiorati nell’adolescenza dai 2 gravi incidenti di Three Mile Island (1979) e di Chernobyl (1986), visto anche che degli altri 130 incidenti che hanno coinvolto le 440 centrali attualmente in attività si rivela e si informa poco o nulla (sulla gravità, sugli effetti ambientali e sanitari, sui costi).
E’ bene quindi ricominciare dall’inizio, a partire dall’unica apparente verità a favore del nucleare, dalle altre mezze verità distorte, fino alla sequenza di balle che i fautori del nucleare “esperti “ o “politici” che siano, hanno ripreso a raccontarci.

Il nucleare e i gas climalteranti
Le centrali nucleari servono a produrre energia elettrica e a niente altro ( a parte il possibile uso militare delle scorie ). Nel mondo i 440 reattori in funzione (dei quali il 10-15% mediamente fermi per manutenzione, guasti, incidenti) producono circa il 16% del fabbisogno elettrico del pianeta prevalentemente in sostituzione di carbone e di derivati del petrolio. L’emissione di CO2 è in effetti vicina a zero, (come per idroelettrico, eolico e fotovoltaico ), e dalla loro attività, oltre a grandi quantità di acqua più calda e costanti piccole emissioni di radionuclidi, nella norma si ottiene di risulta grandi quantità di rifiuti radioattivi solidi e liquidi che mantengono in parte consistente i loro micidiali effetti per migliaia di anni e che da 40 anni si accumulano, quasi sempre “provvisoriamente”, da qualche parte.

L’unica verità dei nuclearisti è però una non verità. L’emissione di gas serra di origine antropica è data dall’insieme dei consumi energetici che danno emissioni in atmosfera (in particolare per trasporti, riscaldamento, attività produttive). In termini di fonti primarie gli 11.000 MTEP (Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di consumi energetici totali annui del pianeta utilizzano Petrolio (30%), Carbone (30%) , Gas (20%) , Rinnovabili (14%), Nucleare (6%).
In altre parole, se con una bacchetta magica del cattivo di Harry Potter tutta l’elettricità fosse ottenuta dal nucleare, per l’Italia occorrerebbero almeno 44 impianti di nuovo tipo ( per coprire quasi 70.000 MW al 2018 ) invece dei 4 previsti dal governo (circa 6400 MW) , cioè almeno 2 per ogni regione italiana. Nel mondo occorrerebbero almeno 2800 impianti di nuova taglia invece dei 440 attuali .
Se il miracolo avvenisse però la nostra atmosfera quasi non se ne accorgerebbe: Le emissioni di CO2 totali si ridurrebbero all’incirca del 5 %, molto, ma molto meno di quanto ci prefiggevano i timidi governanti del G8 e gli altri per il 2020. Ci sarebbe un vantaggio solo per le aziende del settore nucleare che avrebbero abbondanti dividendi da distribuire e forse per il mio amico neoingegnere che troverebbe lavoro probabilmente molto più vicino a casa.

A chi vi parla di un nucleare “ambientalista” rispondete quindi con tranquillità che si tratta di una incredibile cazzata (potete dirlo anche in TV, in Italia la parola è permessa..). Ditelo anche al senatore PD Veronesi, alla comunista Margherita Hack ( esperta di astrofisica ma non di problemi energetici), ai 70 piddini che chiedono a Bersani di ripensarci, all’ex legambientino in carriera Chicco Testa. Con Berlusconi lasciate perdere, è molto meno stupido di quanto sembra, sa benissimo che è una cazzata ma gli riesce naturale raccontare palle...

Servirebbe invece che qualcuno di costoro si occupasse seriamente di trasporti, in particolare degli autoveicoli il cui numero si dice che raddoppierà nel mondo dai quasi 700 milioni attuali a 1400 milioni entro il 2030 se qualcuno non sarà in grado di correggere almeno un pò questo sciagurato e autolesionista modello di mobilità di uomini e merci su gomma basato sulla combustione di idrocarburi vari. Malgrado un sacco di chiacchiere sull’auto ecologica, non è cambiato quasi nulla , in particolare nel nostro paese, che mantiene il penoso record nel mondo del più alto numero di auto/abitante circolanti ( 61/100) insieme a quello dei sindaci inadempienti nel tutelare la salute pubblica.

Per dare l’idea della incapacità dei nostri governanti (di destra, di centro e di sinistra) è di questi giorni la notizia che a New York l’80% degli abitanti non possiede un auto, che il sindaco, miliardario, Michael Bloomberg (repubblicano liberal oggi indipendente ), è uso andare in ufficio in metrò, che ha fatto costruire 300 km di piste ciclabili ed ha di recente totalmente pedonalizzato Time Square. E dal 2009 svolge felicemente il suo terzo mandato. Un idea per Chiamparino, che potrebbe farsi ospitare a Manhattan nel loft dell’amico Veltroni e vedere un po’ come si possa governare una moderna metropoli occidentale.

La quarta generazione
Ho sentito esperti, parlamentari e perfino ministri, di destra, centro e sinistra dichiararsi favorevoli al nucleare, ma solo a quello che sta arrivando “di quarta generazione”. Anch’io sarei tentato di farmi musulmano se avessi una qualche concreta possibilità di avere in serbo 72 mogli vergini nell’al di là o di ripiego almeno un posto riservato e sicuro accanto agli angeli per l’eternità in paradiso ma almeno per il nucleare è bene un po’ di serietà e di piedi per terra.

La prima generazione di reattori, costruita negli anni 50-‘70 è stata quella dei piccoli prototipi, qualche decina di MW (megawatt) di potenza nominale (il più grande nel mondo fu quello italiano a Latina di 210 MW).
La seconda generazione, di taglia industriale, in genere fino ai 1000 MW è quella dei reattori costruiti nei 30 anni successivi, fino al 2000, cioè la quasi totalità di quelli attualmente funzionanti nel mondo. I loro 3 difetti, da tutti universalmente riconosciuti, sono la mancanza di sicurezza intrinseca, cioè la possibilità di avere incidenti di rilevante gravità (come i 2 citati, a parte gli altri 130 ”minori”), l’inevitabile produzione di scorie radioattive che ci lasciano in eredità per alcune migliaia di anni, i costi esorbitanti per il decommissioning cioè per il loro smantellamento e la loro custodia per altre centinaia di anni. Dall’inizio del 2000 si è avviata così la costruzione, in corso, di alcuni, pochi, nuovi impianti (in Francia, Cina, Finlandia ), detti di terza generazione, nei quali il “cuore del reattore” sarebbe più tutelato, con strutture di protezione più grandi e solide e strumentazione di controllo più rafforzata. Poiché tali accorgimenti aumentano di molto i costi di costruzione e gestione si pensa di aumentare il rendimento (cioè contenere l’aumento dei costi) aumentando la taglia sopra i 1000 MW ( i reattori francesi EPR della AREVA, previsti anche per i 4 italiani sarebbero da 1600 MW) e raddoppiare la durata (presunta) fino a 60 anni.
Sebbene si siano già previsti costi esorbitanti di 4 miliardi di euro a impianto, quello finlandese (il primo nel mondo da 1600 MW ) sembra stia arrivando ad un costo di 6-7 mld, cioè totalmente fuori mercato. Nel corso del G8 di Siracusa dell’aprile 2009 fonti ministeriali italiane dichiaravano: "L'energia nucleare perde quote di mercato, passando dal 15 per cento nel 2006 al 13 per cento entro il 2015 e al 10 per cento entro il 2030. La quota di energia rinnovabile aumenterà considerevolmente, passando dal 18 per cento del totale di energia elettrica nel 2006 al 20 per cento nel 2015 e al 23 per cento nel 2030".
Un recente articolo del New York Times, citando uno studio americano di John Blackburn, docente di economia della Duke University dice che se si confrontano i prezzi attuali del fotovoltaico con quelli delle future centrali previste nel Nord Carolina, il vantaggio del solare è già evidente: costa meno di 16 centesimi di dollaro a kilowattora (12,3 centesimi di euro/kwh ); senza il trasferimento del rischio finanziario sulle spalle dei consumatori di energia e dei cittadini che pagano le tasse. Inoltre se solare e eolico lavorano in tandem possono tranquillamente far fronte alle esigenze di continuità delle erogazione elettriche di un intero Stato.
Mark Cooper, analista economico all'Università del Vermont conferma che i costi di produzione di una centrale nucleare sono in continuo aumento, quelli delle alternative in continua discesa. Insomma, cosa ci darà la terza generazione lo sapremo, se verranno costruiti un numero significativo di impianti, fra qualche decina di anni, comunque dopo il 2020 di sicuro.Va notato che i nostri politici imbroglioni filonucleari parlano nei nostri talk-show della terza generazione come di un qualcosa riguardante un presente ormai in superamento mentre i primi di questi impianti come quello finlandesi sono ancora in costruzione oggi.
Gli impianti di quarta generazione sarebbero un po’ la somma del paradiso dei cattolici e di quello degli islamici. Il GIF ( Generation IV International Forum ) creato nel 2000 da 10 Paesi al fine di sviluppare questi sistemi (con a capo gli USA di Bush che nel 2005 ridette impulso al nucleare promettendo forti incentivi), a cui si sono aggiunti l’EURATOM e recentemente Russia, Cina e altri 2 organismi internazionali (INPRO e GNEP) ha definito una decina di requisiti di base:
1) massimo utilizzo del combustibile 2) minimizzazione dei rifiuti radioattivi 3) basso costo dell’impianto 4) rischio finanziario equivalente a quello degli altri impianti energetici (da ridere..) 5) sicurezza e affidabilità tali da avere una bassa probabilità di danni gravi al nocciolo 6) tollerare errori umani anche gravi 7) in conseguenza non dovranno richiedere piani di emergenza non essendoci rischio (da piangere..) 8) resistenza e protezione contro qualunque tipo di attacco terroristico 9) garanzia contro la proliferazione di usi militari 10) naturalmente.. nessuna emissione di radionuclidi in atmosfera.

La conseguenza di questo approccio “realistico”, ispirato dalla potentissima lobby di un nucleare in estinzione, che in parte coincide sempre più con quella del petrolio, che come una potente sanguisuga affida poi i costi dei progetti e chiede risorse agli Stati ed Enti pubblici nazionali ed internazionali, è la marginalità delle risorse e dell’impegno sulle fonti rinnovabili in molti paesi, forse con l’eccezione della sola Germania e in parte della Spagna. Ed evitiamo qui di parlare degli inconfessati interessi militari che porteranno alla proliferazione di armi nucleari ed a possibili guerre di dissuasione per il loro contenimento. I costi complessivi per la ricerca e per l’avvio ipotetico di questa eventuale quarta generazione che si indica vagamente attorno al 2040, non chiedeteli; nessuno li sa, nessuno ci prova neanche a calcolarli..in fin dei conti che importanza ha.? L ’importante è che se ne parli al popolo nei nostri talk-show della sera… 

Se andiamo al di là della propaganda e ci atteniamo ai fatti lo scenario del nucleare, in particolare in Europa è molto chiaro: il nucleare è o è stato presente in 15 su 27 paesi, in 12 non esiste. C’è un blocco di paesi (Germania, Spagna, Svezia, Italia ) che sono di fatto in decommissioning cioè verso lo smantellamento di quanto costruito in passato. Tre paesi dell’est, Bulgaria , Romania, Slovacchia usati come ultime chances dell’industria del settore, specie francese, vorrebbero costruirne di nuove, la Finlandia sta continuando a spostare in avanti (l’ultimo rinvio dal 2009 al 2011) il completamento dell’unico impianto europeo realmente di terza generazione i cui costi si sono già dimostrati fallimentari. L’Italia berlusconiana conferma, insieme ad un eccesso di semplicismo e ignoranza sconfortante, la sua già più volte sottolineata anomalia: l’assenza di una forza ecologista di un qualche rilievo che abbia voce sui media e nell’opinione pubblica, insieme all’inconsistenza e alla subordinazione nell’ ambito culturale e tecnico-scientifico delle forze di sinistra. Non è un caso comunque che, malgrado le potenti spinte al boicottaggio e le scarse risorse, le rinnovabili si fanno comunque strada per le loro potenzialità e i vantaggi, che non sfuggono ad una parte degli imprenditori (e neppure alle varie mafie del nostro paese che hanno un idea chiara di dove si possono fare soldi..). 

Quella nucleare si conferma comunque al momento come una tecnologia declinante, condannata comunque a gestire quote del tutto marginali del settore energetico con costi crescenti, ininfluente nell’intervenire sulle problematiche dei gas climalteranti, mentre resterà però, per molti decenni almeno, il pericolo ambientale sotteso agli impianti esistenti. Constatazioni che rendono ancora più necessaria e urgente la costruzione di un ampio fronte di opposizione, promosso dagli ecologisti, che spazzi via definitivamente dalla storia del nostro paese questo incubo e apra la strada verso la transizione ad una nuova frontiera.

domenica 8 agosto 2010

Comune di Roma: guerra agli alberi!


Si chiama "riqualificazione". E così sono stati abbattuti olmi e acacie che svettavano rigogliosi in via Flaminia Vecchia, e poco prima, gli storici pini di via Salaria. Il Comune di Roma sembra aver dichiarato la guerra agli alberi. Sulla Salaria i pini erano colpevoli di sollevare l'asfalto, anche se i cittadini della zona fanno notare che basterebbe risistemarne il manto stradale, ancora pieno di buche non certo causate dai poveri pini. A piazza Gentile da Fabriano vengono abbattuti per fare posto a un parcheggio sotterraneo, a Ponte Milvio invece, gli alberi sono stati dichiarati malati, e buttatati giù, anche se gli abitanti del quartiere si dicono pronti a dimostrare che quegli alberi erano sani come pesci.

"Sono state fatte le perizie fitostatiche - ha dichiarato Stefano Erbaggi, assessore ai Lavori pubblici del municipio XX - il risultato è che sono quasi tutte da eliminare, tranne due o tre, perché malate e quindi pericolose per l'incolumità pubblica". Con parole più semplici, i cittadini smentiscono: "Ho scattato delle foto e gli alberi sono sani - ha dichiarato a Repubblica Maria Rita Barbera, residente della zona - Si vedono tronchi pieni e non marci, tranne in un caso. Vogliamo vedere le perizie e il dossier. Non si può massacrare il verde. Sostituiscono fusti decennali con altri giovani che tra quarant'anni avranno lo stesso problema di oggi perché non vengono curati e innaffiati".
Molti ricordano i dubbi tagli degli storici pini di Piazza Venezia, il primo exploit di una giunta dalla sega facile. E tra i cittadini sorge il dubbio che tra tagli e piantumazioni ci scappino appalti da leccarsi i baffi.
mercoledì 4 agosto 2010

Roma - Stop alla pet ambulanza


in cinque anni ha soccorso 800 animali

Il Comune non ha rinnovato la convenzione per il mezzo che aiuta anche gli animali vittime di incidenti stradali. Problemi anche per il Pet soccorso, il Centro recupero fauna selvatica Lipu e la sterilizzazione di cani e gatti. Il veterinario: "Auspichiamo che vengano presto riattivati"

Il dottor Argiolas (a sinistra) e il presidente Lav Gianluca Felicetti con la pet a
Motori spenti e serbatoio vuoto per la pet-ambulanza voluta da Francesco Totti e Ilary Blasi, per fornire soccorso d'emergenza agli animali feriti a Roma. Il Comune non ha infatti rinnovato la convenzione per mantenerla attiva; è stato denunciato oggi a Roma, in occasione di una conferenza stampa organizzata dalla Lega antivivisezione (Lav) sul tema del nuovo codice della strada.

Era stato avviato nel 2005 il progetto pilota 'Soccorso animali Roma': grazie a una generosa donazione che aveva assicurato la nascita del servizio, pet-ambulanza compresa, e i primi sette mesi di gestione. Dal 1 marzo 2006, l'ufficio Diritti animali del Comune di Roma ha assunto il coordinamento del servizio di emergenza. Da gennaio 2010, però, il Campidoglio non ha rinnovato la convenzione per mantenerlo attivo. Risultato: l'ambulanza veterinaria, che ha partecipato anche al soccorso degli animali vittime del terremoto dell'Aquila, giace inutilizzata.

L'Asav (Autoveicolo di soccorso avanzato veterinario), prototipo di ambulanza veterinaria progettata e realizzata da Roma Pet Soccorso, con il patrocinio e il cofinanziamento dell'Unione europea, ha ricevuto in cinque anni oltre cinquemila chiamate e ha effettuato quasi 800 interventi d'emergenza. Il 90% delle attività di soccorso ha riguardato incidenti stradali. Una percentuale che ha raggiunto il 100% in estate, quando gli animali abbandonati spesso rimangono vittime di incidenti stradali, anche mortali.

Il Pet Soccorso ha svolto anche interventi in aiuto agli animali nei campi nomadi della Capitale e interventi tecnici preventivi di controllo nei circhi con animali, soprattutto nel periodo delle festività natalizie. Hanno giovato del mezzo anche i cavalli adibiti al servizio delle 'botticelle' romane e alcuni rettili fuggiti dalle abitazioni.

Ma non è solo la pet-ambulanza ad avere problemi: in serie difficoltà è anche il Pet soccorso, il Centro recupero fauna selvatica della Lipu e l'attività di sterilizzazione di cani e gatti sul territorio. "Auspichiamo che questi servizi possano essere, in tempi brevi, non solo riattivati ma anche potenziati - dice Stefano Luigi Argiolas, veterinario responsabile del servizio di pet-ambulanza - Ci sono soprattutto problemi organizzativi, più che finanziari - ammette - perché l'assessore alle Politiche ambientali del Comune di Roma e il presidente della Commissione ambiente stanno facendo di tutto in questo senso".

Intanto oggi la Lav ha donato oggi all'ambulanza una sirena lampeggiante permessa per la prima volta dal nuovo codice della strada, cogliendo l'occasione per chiedere al sindaco della Capitale Gianni Alemanno di ripristinare la convenzione che ha assicurato per anni, fra tante difficoltà, un servizio essenziale.  
(  da Giovanni Gagliardi)